“Le regole infrante” di Silva Gentilini (Piemme) è un thriller psicologico, non vi è dubbio. L’esaustiva immagine di copertina del libro, prima che si sfogli pagina, conduce il lettore ad una percezione a “pelle” di disagio, inadeguatezza, paura del chiuso e del buio. E poi vi sono tutti gli elementi narratologici: un luogo ben definito, Villa delle Rose, gabbia e rifugio (cfr. p. 198), “dove la fragilità non è una colpa e il dolore una lingua comune” (cfr. p.198), individui carichi di cicatrici, travolti dal passato e reduci in questo presente “terapeutico” e un occhio vigile, forse due. Ma la storia, nel suo svolgersi, ve ne darà contezza.
Si materializza, così, nella memoria visiva del lettore attento, l’immagine/metafora della scacchiera in cui statuine si muovono (o sono mosse), certo, ma in una sorta di immobilità psicologica, secondo una strana logica delle passioni, quelle nascoste, occulte, rimosse, taciute, sofferte. Come nella migliore tradizione freudiana tutto il puzzle si compone in modo “naturalmente” inquietante, basti rievocare alla memoria quanto scrive lo stesso Sigmund Freud in “Nuovi consigli sulla tecnica della psicanalisi del 1914: Chi voglia imparare sui libri il nobile gioco degli scacchi si accorgerà che soltanto le mosse di apertura e quelle finali consentono una presentazione sistematica esauriente.
Ecco, trovo che l’abilità di Silva Gentilini sia stata proprio questa ossia costruire una struttura narrativa sulle mosse di apertura del thriller e su quelle finali, lasciando il lettore in una suspense permanente, altresì affascinato dalle storie, dalle figure e dalle “anime” (anche quelle nere) di Villa delle Rose. Un inciso, neppure il nome del luogo è casuale. È anch’esso, armonicamente, oggetto narratologico. Rimaniamo sull’impianto scacchiera del thriller: si accorgerà il lettore che è importante l’obiettivo, non la strategia. Infatti, è dall’obiettivo che derivano le mosse dell’occhio, badate bene, non rigido in un verosimile algoritmo strategico, ma sempre pronto a riadattarsi all’obiettivo iniziale. Che cosa è importante a Villa delle Rose? Non i nomi o le sequenze di vita, ma gli obiettivi, in termini di rischi e perdite, di gioco “patologico” ma per questo “linfatico”.
E bisogna tenere in mente l’immagine della scacchiera nel suo complesso perché funzioni. Lo sanno bene anche i muri, a Villa delle Rose. Eppure, questa immagine altro non è che la rappresentazione mentale del “giocatore” che tiene conto della relazione esistente tra i pezzi (personaggi) sulla scacchiera e delle mosse giocate. Ma esiste – sempre e comunque – l’intuizione che conduce alla verità, ma solo quando diventa automaticamente decisione di agire. Accade, a Villa delle Rose, e sarà un deus ex machina nella storia. E non vi svelo altro. Trattasi di divergenze, direbbe Freud.
Vinni, Bianca, Silvia, Gabriella, Venezia, Glauco e gli altri sono attori inconsapevoli o meno di questa scacchiera, in un percorso di definizione dell’autorevolezza del sé e di gestione delle proprie emozioni, frustrazioni e dolori (fragilità) perché – in fondo – “il sole non si spegne mai” (cfr. pag. 213) né intorno a noi né dentro di noi. Le loro personalità e anche la fisicità, la mimica, la prossemica, sono tratteggiate da Silva Gentilini con cura dei dettagli, con la scelta di parole che “pesano” e “contato” nell’economia generale della storia e che contribuiscono, in una architettura lessicale, a rendere le scene vere e proprie scenografie.
E se avete memoria de “La cecità” di José Saramago o de “L’altra verità” di Alda Merini, beh, “Le Regole Infrante” si colloca lì, in uno spazio di umana fragilità e umana forza. Il romanzo altro non è che la formalizzazione di domande chiave della nostra esistenza: chi siamo? Chi vogliamo essere? Quante opportunità diamo a noi stessi e agli altri?