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Raccontami tutto. Elisabeth Strout restituisce la grazia dell’ordinario

“Raccontami tutto” (Einaudi) di Elisabeth Strout – tradotto da Susanna Basso – è un libro bellissimo, molto profondo eppure apparentemente semplice. Tanti personaggi che si muovono come sulla superficie del mare. Sembrano fermi eppure si spostano tutti, perché come dice la narratrice “È la vita”. Movimenti impercettibili che ci fanno capire le loro anime. Un libro da rileggere per comprendere tutte le sfumature. Mi ha commosso, forse perché l’autrice riesce a far rivivere nei lettori emozioni sopite e mai dimenticate. Vecchi e nuovi amori. E “chi pensa di non avere sofferto per amore sta mentendo”.

E tanto aveva sofferto Lucy Burton per quel marito che la tradiva e per le figlie lontane. Eppure, proprio con lui si era trasferita nel Maine dopo il Covid… È infatti dal libro “Oh William” che prendono le mosse i personaggi di “Raccontami tutto”. Lucy e William sono rimasti a vivere a Crosby intrecciando le loro vicende con quelle di altri abitanti della cittadina, in autunno, quando è dolce la stagione del foliage e si possono fare anche romantiche passeggiate… e iniziare nuovi amori a un’età in cui nessuno penserebbe che possa succedere.

Questo libro rappresenta per l’autrice l’occasione di far rivivere i personaggi dei suoi romanzi tutti insieme, senza retorica e senza sfilacciature: la parte di gioia e la parte di dolore. Soprattutto per raccontarsi storie, storie dal passato, storie in filigrana, segreti, sensi di colpa dalla parte sbagliata, storie divertenti e struggenti, storie dell’amore che avrebbe potuto essere e non è stato, perfino un giallo da risolvere. “Raccontami tutto” non è un romanzo di trame e colpi di scena, ma un testo che profuma della quieta semplicità della provincia, con i suoi pettegolezzi e le sue vicende apparentemente insignificanti.

“Olive tacque un bel po’. Poi disse, in tono pensoso: – Strambo, no, il mondo in cui viviamo? Per anni mi sono detta: Mi mancherà questo quando muoio. Ma per come va il mondo di questi tempi, certe volte penso che sarò ben contenta di essere morta”. E rimase seduta. – Invece mi mancherà lo stesso, disse”.

La migliore interlocutrice di Lucy è proprio l’indimenticabile Olive, novantenne vedova, che vive in una casa di riposo e che il tempo ha addolcito un po’. Accanto a loro, Bob, penalista in pensione, che rimugina sul mistero della morte del padre, la vedovanza del fratello maggiore, la scomparsa di un’anziana il cui figlio è il principale indagato. Soprattutto, con l’innamoramento per Lucy: entrambi sessantenni, sposati ma un po’ in crisi. Fanno lunghe passeggiate insieme. “Quando arrivarono alle macchine, Bob spalancò le braccia e disse: – Ti abbraccio, Lucy. E lei spalancando le braccia disse: – Anch’io, Bob. –  Ma non si abbracciarono”.

Strout appartiene a una linea di scrittura femminile che mette al centro la vulnerabilità, la solitudine e il quotidiano. Tra le scrittrici a cui può essere accostata, senz’altro la grandissima, premio Nobel, Alice Munro, entrambe legate al racconto breve. Se cerchiamo un paragone italiano, potremmo evocare Natalia Ginzburg: la stessa capacità di guardare le persone con una prosa apparentemente semplice che scava nel profondo. Ma il confronto immediato è con Cechov, padre indiscusso del racconto a cui la stessa Ginzburg si è ispirata.

E soprattutto Grace Paley, forse uno dei confronti più fecondi per capire Elizabeth Strout. Entrambe, in modi diversi, fanno parte di una tradizione femminile americana che ha messo la vita quotidiana e la voce delle donne al centro della letteratura, seppur con sfumature diverse. Paley scriveva con una voce radicalmente orale, vicina al parlato, impastata di umorismo. Strout ha una voce più silenziosa e meditativa, non finge mai. Scrive come si parla, con parole semplici, ma ogni frase contiene una scheggia di verità. Strout non costruisce personaggi eccezionali, ma restituisce la grazia dell’ordinario. È come se dicesse: “Guarda, questa è la vita. Non è perfetta, ma è vera. E tu ci sei dentro”.

“Raccontami tutto” è unico perché riesce a fare ciò che pochi romanzi moderni osano: ridare valore all’intimità, alla gentilezza e all’ascolto come forme di conoscenza. Strout costruisce i suoi mondi attraverso la voce narrante, spesso quella di Lucy Barton, che si fa confidenza, memoria, e talvolta confessione. Nel romanzo l’ascolto è la forma della narrazione: Lucy assorbe le storie degli altri. In Paley, invece, l’ascolto è attraversato da voci, contraddizioni, battute: una specie di coro urbano fra ironia e ribellione.

In entrambi i casi, la rivelazione nasce dal gesto minimo: una frase detta male, una visita inaspettata, una conversazione qualunque che spiega tutto. Per ricordarci che le vite ordinarie contano, e che la letteratura è un modo per salvarle dall’invisibilità. Lucy Barton è disposta davvero ad ascoltare, non a giudicare. La sua cifra è l’empatia come forma narrativa. Ogni racconto, ogni conversazione diventa un modo per avvicinarsi alla verità dell’altro e, di riflesso, a sé stessi.

Il romanzo parla del tempo, dell’invecchiare, del continuare a capire e perdonare anche quando non serve più. “Raccontami tutto” è composto da episodi brevi, quasi racconti, tenuti insieme da un filo invisibile: la tenerezza del ricordo. Non c’è una trama forte, bensì un tessuto emotivo che si espande con naturalezza, come una conversazione tra persone che si vogliono bene e si temono allo stesso tempo. Tutti i personaggi portano ferite, errori, piccoli egoismi, ma Lucy li guarda con una pietà che non è mai debolezza. Un libro che non lascia indifferenti. Leggetelo.

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