Arto Paasilinna (1942-2018) in Finlandia è autore di culto, da molti reputato il più importante scrittore finlandese contemporaneo. Con i suoi romanzi tradotti in oltre 45 lingue e vendite da 8 milioni di copie in tutto il mondo, la sua notorietà si è ormai diffusa ben oltre le appartate terre finniche. Cifra caratterizzante di Paasilinna è il paradosso fatto umorismo, una chiave attraverso cui affronta temi anche drammatici e di rilevanza sociale.
“L’anno della lepre” è il suo romanzo più conosciuto (definito romanzo umoristico-ecologico, ne sono state tratte anche due versioni cinematografiche); una vicenda pure essa abbastanza assurda, ma non certo per gli argomenti che affronta: libertà, felicità, il necessario anticonformismo che occorre per perseguirle.
Ora è uscito in Italia “Un gruista in paradiso”, con la traduzione di Nicola Rainò, per le edizioni Iperborea. È la divertente storia di Pirjeri Ryynänen, gruista di Helsinki, che si ritrova a svolgere le funzioni di Dio. L’Onnipotente è infatti stanco e demotivato. Forse al momento della creazione era stato un ingenuo. Non immaginava che l’umanità potesse essere così malvagia e pure stupida nel distruggere sé stessa e le bellezze del mondo.
Insomma, Dio è in crisi, ha bisogno di una pausa di riflessione e sta pensando di andare a riflettere per un po’ su Mondaltro. Il problema è da chi farsi sostituire. Né san Pietro né l’arcangelo Gabriele, che conoscono bene gli umani, sono disponibili ad accollarsi una bega di questa portata. Si pensa, allora, a un facente funzioni terrestre. Dopo una rigorosa selezione svolta con criteri aziendalisti, degna del più efficiente comparto risorse umane, la scelta cade sul gruista Pirjeri Ryynänen, persona avvezza a guardare in alto e dall’alto, e a suo modo devota, considerate le domande che rivolge abitualmente al Padreterno in tema di fame, miseria, salvaguardia dell’ambiente, pace, felicità.
Il gruista Pirjeri assume così il vicariato di Dio e, preso da zelo rivoluzionario, fa subito intendere che non limiterà il proprio ruolo a una mera supplenza. Troppe sono le cose che non funzionano. Tra le scelte più azzardate decide di delocalizzare il paradiso in Finlandia, bella terra, ma di cultura alquanto pagana. Altre ancora saranno le bizzarre iniziative messe in piedi e sistematicamente boicottate dal Maligno, il quale, a un certo punto, ordisce persino un attacco hacker.
Deve inoltre vedersela con una Chiesa retrograda, condurre un sottile lavoro di diplomazia con le altre divinità e, non ultimo, tribolare con gli esseri umani, scarsamente collaborativi, falsi, comunque deboli e inaffidabili. No, essere Dio non è facile, anche per un gruista abile a barcamenarsi tra terra e cielo. Ancora una volta Arto Paasilinna, con il suo humour, lo sguardo sghimbescio e satirico sul mondo, fornisce materia per pensare: alle sorti del mondo, a chi e come potrebbe salvarlo.
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Dio è un bell’uomo. Alto uno e settantotto, leggermente robusto, ma ben proporzionato e di portamento fiero. Ha tratti fini, naso dritto, fronte alta. Lo sguardo è amabilmente risoluto, anche se un po’ stanco. Le orecchie non sono a sventola e non rivelano cerume. Dio non ha né barba né baffi. Ha i capelli scuri, lisci e corti, pettinati con la riga – a destra per chi guarda – e appena brizzolati alle tempie. Tutto sommato non dà l’impressione di essere molto vecchio. Ha dita lunghe e affusolate, non porta anelli. Dio non ha il pomo di Adamo. Indossa un abito grigio di flanella, che gli sta da dio. Dal taglio si direbbe anni Cinquanta: giacca doppiopetto con bottoni neri e pantaloni con risvolti. Ai piedi, ha scarpe stringate basse, nere, di pelle morbida, misura quarantadue. Usa di preferenza gli slip. Sotto la giacca ha il panciotto e sotto il panciotto le bretelle. La camicia è di cotone di ottima qualità, non firmata, come del resto tutto quello che indossa. Dio non usa profumi e non puzza di sudore, emana giusto un discreto aroma virile. La voce è baritonale. Tutta la sua persona irradia un evidente carisma e dà l’impressione di una grande cultura. Lo sguardo palesa un’intelligenza eccezionale.
La nobile fronte dell’Onnipotente è solcata da rughe di preoccupazione e fatica. È il Dio dei cristiani, il Creatore del cielo e della terra, Padre, Onnipotente, Nostro Signore, l’Altissimo, il Misericordioso… è conosciuto sotto tanti nomi. Non assomiglia realmente all’immagine che l’umanità si è fatta di lui, non è un vecchio decrepito dalla barba grigia, con bastone e mantello, e nessuna aureola gli aleggia attorno al capo. Ha l’aspetto di un uomo, non del dio della nostra fantasia, cosa che del resto non dovrebbe neanche stupire: non ha creato Lui stesso l’uomo a sua immagine e somiglianza? Tra Dio e Gesù c’è una certa affinità di lineamenti. Gesù è senza dubbio figlio di suo padre, ma ha ereditato anche qualche tratto da Maria, la madre. Si potrebbe dire che ha preso il naso della mamma e gli occhi del papà. L’Onnipotente dimora in cielo come in terra e, tramite gli angeli, è onnipresente. Ha la divina facoltà di muoversi dove e quando vuole con la sola forza del pensiero. E, ovunque vada, lo seguono i suoi aiutanti con tutto il necessario. Così ci appare Dio Onnipotente, Signore del cielo e della terra. Dio se ne stava sprofondato nella sua comoda chaise longue di pelle, la sua poltrona preferita, in mezzo alla stanza rotonda della torre di un vecchio maniero in Bulgaria.
Le rovine erano ciò che rimaneva di un antico castello costruito in epoche remote sul picco Syutkya, tra il borgo di Hyomakurdzal e la cittadina di Dospat. In seguito aveva anche ospitato un convento di suore, ma adesso era vuoto. In Bulgaria il numero delle religiose era man mano diminuito, le famiglie nobili si erano estinte e la rivoluzione aveva dato il colpo di grazia. Era una regione montuosa: a Dio piacevano le ampie vedute. Era un giorno nuvoloso d’autunno. Neri corvi svolazzavano gracchiando forte tra il castello e le pendici delle montagne vicine, mentre un’aquila affamata volteggiava minacciosa in alto tra le nubi. Centinaia di milioni di anni fa, all’alba dei tempi, nella mente di Dio era balenata l’idea di creare un bel pianeta nuovo, una specie di pallone sonda, dove divertirsi a organizzare diverse forme di vita felice. A quell’epoca Dio era ancora giovane e pieno di voglia di sperimentare. Il materiale necessario a costruire la Terra poteva ricavarlo facilmente dalle polveri spaziali che roteavano nell’universo circostante, in particolare quelle di una piccola stella chiamata Sole. E, una volta risolta la questione della gravità, dell’orbita e altri problemi basilari del genere, Dio si era concentrato sull’evoluzione delle forme di vita sul nuovo pianeta. All’inizio era stato un lavoro di estremo interesse e soddisfazione.
Aveva creato una grande varietà di cellule e organismi primitivi, che si erano messi allegramente e freneticamente a vivere. Aveva popolato il pianeta di vari crostacei e gasteropodi, lasciando sbizzarrire la sua fantasia in sperimentazioni su diverse strutture somatiche, configurazioni genetiche, biodinamiche, combinazioni di colori e forme di vita; e lasciando che gli organismi si riproducessero e crescessero liberamente. Dopo vari secoli, aveva cominciato a dedicarsi ad animali un po’ più complessi, inizialmente pesci e rettili. In seguito l’Onnipotente si era immerso con entusiasmo nella creazione di uccelli e, per finire, di mammiferi, fino a quando, sconsideratamente, partendo dai mammiferi più intelligenti, aveva tirato fuori la scimmia e, alla fine, una creatura a sua immagine e somiglianza: l’uomo. Era stata la sua ultima creazione, di cui poi si sarebbe amaramente pentito. Dio è per natura buono, e buoni voleva che fossero anche gli umani. Ma nel fervore della creazione, qualcosa doveva chiaramente essere andato storto, c’era stato qualche errore fatale; durante il processo creativo, Satana era evidentemente riuscito a inserire i suoi diabolici geni nel nobile lignaggio umano, e da allora Dio non ha avuto che dispiaceri dall’umanità. Ma Satana non aveva per caso già messo il dito anche nella precedente fase dei mammiferi superiori?
Quando Dio stava ideando il lupo, aveva in mente un simpatico animale con la pelliccia che potesse sopportare le dure condizioni delle regioni fredde della Terra. Nelle sue intenzioni doveva essere una creatura innocua e tollerante, che si nutriva d’erba e si aggirava in branchi felici per le steppe innevate. Ma quando fu fatto e finito, Dio fu costretto a constatare che c’era qualcosa che non andava. Il lupo cercò perfino di azzannargli la caviglia e dovette essere soppresso, ma purtroppo aveva già fatto in tempo a diffondersi in tutto l’emisfero settentrionale. E lo stesso accadde con gli altri predatori che cominciavano a comparire in ogni angolo del pianeta, finché non arrivò l’uomo e si rivelò il più spietato di tutti gli animali, a volte addirittura diabolico. Nostro Signore aveva sperato che l’essere umano diventasse il salvatore di tutto il suo creato, e lo aveva perciò dotato di ragione e di un ricco repertorio di sentimenti. L’idea era che dovesse liberare il mondo dalle belve più sanguinarie e feroci. È vero che di tanto in tanto qualche esemplare decente era anche saltato fuori, ma nel complesso la maggior parte dell’umanità era talmente bellicosa, avida, meschina e assetata di potere, che Dio non poteva fare altro che guardare al risultato con profonda costernazione. Più gli uomini si incivilivano e più si comportavano da mascalzoni. Nel corso della storia, avevano imparato a inventare nazioni e a sviluppare tecnologie belliche.
E non hanno più smesso di farsi sanguinosissime guerre e di diffondere sempre più dolore e sofferenza nel mondo. Duemila anni fa, Dio fece un tentativo di migliorare un po’ la situazione inviando il suo unico figlio, Gesù, a cercare di riportare un po’ di pace. Era una soluzione di emergenza. Ma si rivelò un fallimento totale. Gli umani seguirono la loro natura, resero la vita di Gesù in Terra un vero inferno, lo coprirono di insulti, e quasi nessuno lo prese sul serio. Alla fine arrivarono addirittura al punto di uccidere quel giovane innocente e ingenuo, e in uno dei modi più crudeli. Con la loro tipica efferatezza, lo appesero vivo a una croce inchiodandogli mani e piedi. Dio non ebbe altra scelta che resuscitare suo figlio dai morti e richiamarlo in cielo a leccarsi le ferite. Al momento Gesù si aggira da qualche parte nell’universo in compagnia di un certo Rutja. A quanto Dio ricorda, il suddetto Rutja sarebbe figlio del dio del tuono finnico, quindi una sorta di collega di Gesù, o almeno della sua stessa classe divina. Ah, Gesù, Gesù, pensò Dio stancamente. Aveva realmente fatto tutto quello che poteva per salvare il mondo dalla rovina, ma l’umanità non aveva dato alcun segno di ravvedimento.
[da Un gruista in paradiso di Arto Paasilinna, trad. di Nicola Rainò, Iperborea, 2025]