In cammino con l’eroe. Viaggio in Italia sulle tracce del Garibaldi in fuga

Michele Taddei

29/11/2022

Sventurata la terra che ha bisogno di eroi, fa dire Bertolt Brecht al suo Galileo. Ma un paese senza eroi né martiri è però un paese immobile, fisso nelle sue regole, ingiusto. Poi, la storia insegna, arrivano tempi nuovi, quel che è stato non sarà più, e compaiono gli eroi e anche i martiri. Il nostro Paese ha conosciuto per secoli i tempi immobili ma anche le improvvise accelerazioni della storia. Il Risorgimento è stata una di quelle e Giuseppe Garibaldi il suo eroe. Marinaio, mazziniano, testa calda. Intorno a sé e ai suoi ideali strinse in un patto di ferro una generazione di giovani, piemontesi, toscani, liguri, lombardi, che scelsero di rischiare la vita, e in molti casi perderla, per diventare italiani. Con loro anche tanti stranieri legarono il proprio destino alla causa. Giuseppe Garibaldi un eroe vero, dunque, amato in vita e in morte da donne e uomini in tutto il mondo. Le sue gesta divennero subito leggendarie, ben presto trasformate in monumenti, nomi di vie e piazze, lapidi.

Oggi che la sua figura sembra un po’ sbiadita in questo tempo che non cerca né eroi né martiri e sembra schiacciato su un tempo presente che non ammette di guardare al futuro, arriva un libro che è un autentico toccasana. Si intitola “Il cammino dell’eroe. A piedi con Garibaldi da Roma a Ravenna” (Rizzoli, 2022), scritto da Tim Parks, giornalista e scrittore inglese, in Italia oramai da quarant’anni e con una grande passione per il nostro Risorgimento per sua stessa ammissione. E come spesso è successo, sono gli inglesi a farci scoprire o riscoprire i talenti che questo Paese possiede. Fu così per il Chianti e la Toscana tutta, lo è stato per il Risorgimento stesso, e speriamo lo sia oggi grazie a questo lavoro che non è solo recupero di fonti bibliografiche, ma autentico pellegrinaggio laico sulle tracce dell’eroe. Quello che si compone qui, infatti, non è solo il racconto filologico e archeologico, per quanto possibile, della celebre e mitica fuga del Nostro dalla Repubblica romana nel tentativo di raggiungere Venezia che stava ancora resistendo all’Austriaco. No, è la proposta di costruire un autentico cammino per quanti, oggi, sono in cerca di eroi, di risposte per individuare un filo che li porti fuori da questo oppressivo presente verso un tempo futuro impastato di giustizia sociale, eguaglianza, diritti, libertà dei popoli oppressi. Valori per i quali Giuseppe Garibaldi si batté tutta la vita, offrendo la sua spada ora alle lotte in Uruguay, ora in Italia e perfino in Francia. E che avrebbe combattuto anche in America nella lotta contro la schiavitù degli stati del sud, se non fosse stato impedito dai suoi maledetti reumatismi da marinaio.

Ma torniamo al cammino che, insieme alla sua compagna, Parks compie nel 2019 per recuperare la memoria e i luoghi di quella lunga marcia garibaldina, a 170 anni di distanza. “Ho comprato un paio di scarpe da trekking, sono riuscito a convincere la mia compagna Eleonora a fare lo stesso e, a luglio, ci siamo messi in viaggio sui loro passi”, scrive. Prima di loro un’altra coppia inglese,lo storico George Macaulay Trevelyan con la moglie Janet Penrose, fece le stesse strade per il viaggio di nozze in bicicletta, era il 1906. “La più romantica e la più forsennata delle marce”. Quello che segue è un avvincente racconto di viaggio sulle tracce di un figlio del popolo che per il popolo volle sacrificare l’intera vita, generale di fatto di un esercito raccogliticcio, sconfitto e in fuga. “Affermano alcuni storici che la più brillante impresa garibaldina, dal punto di vista tattico, non fu una battaglia vittoriosa ma una fuga: diciamo pure la lunga marcia via da Roma, dopo la caduta della repubblica”, scrive Luciano Bianciardi, nel suo “Garibaldi”. Personalmente ho sempre condiviso questa interpretazione e così, immagino, anche Tim Parks che ha voluto ritrovare le tracce di quella incredibile vicenda che dal 2 luglio 1849 si concluse a Chiavari il 10 settembre dove il Generale venne arrestato dai reali carabinieri e condotto a Genova, nello stesso giorno in cui in città arrivavano le salme di Luciano Manara, Dandolo e Morosini, compagni del Nostro, martiri nella difesa della Repubblica romana.

Leggendo del viaggio di Garibaldi e dei suoi uomini, in compagnia delle cronache diaristiche di Gustav von Hoffstetter (“ufficiale bavarese che si arruolò volontario in difesa della effimera repubblica romana”), o di quelle postume di Raffaele Belluzzi che provò a ricostruirne il percorso cinquant’anni dopo, e infine di quelle recenti di Tim Parks si può così anche leggere la memoria collettiva rimasta in quei paesi della nostra Italia centrale, cuore del Paese, sempre più abbandonata e disabitata e perciò in cerca di identità, tra capannoni industriali, conventi e chiese dismesse, anziani che si fanno custodi della storia locale, e nuovi italiani che poco o nulla conoscono di quelle terre che oggi abitano. Immagine perfetta di un’Italia vaga, annebbiata, priva di consapevolezza sul proprio passato né tantomeno consapevole del futuro che l’attende.

Attraverso 30 tappe, Parks percorre il Lazio interno, il cuore dell’Umbria, la Toscana felix, il dorso appenninico che la separa dalle Marche e infine la Romagna, dove si fermò il cuore di Anita, moglie e martire. E dove si fermano anche i nostri narratori. Un racconto da leggersi tutto d’un fiato. Altro che i pellegrinaggi tutti uguali sulla via di Santiago o sulla Francigena. Qui, in queste strade sterrate, in mezzo a ruderi e paesi abbandonati, tra montagne lacerate e incolte si è fatta la storia. Attraverso tappe di città dal richiamo turistico, Terni, Orvieto, Cetona, Montepulciano, Arezzo, Anghiari, San Marino, Cesenatico, o da paesi sconosciuti sebbene dai nomi antichi, come Poggio Mirteto, Carsulae, Ficulle, Macerata Feltria, Longiano. A noi, qui, interessa in particolare il passaggio del Generale in fuga nelle terre di Toscana per scoprire ad esempio che l’accoglienza a Garibaldi e al suo esercito non fu ovunque uguale: più calorosa a Cetona e Sarteano, mentre fredda e distaccata ad Arezzo tanto da costringerlo a non varcare le porte della città. Mi fa piacere ricordare in questo senso il primo libro realizzato da Primamedia editore sulle tracce del Garibaldi in terra di Siena, compreso quello fuggiasco del 1849. “Qui sostò l’eroe” (2007) si intitolava il libro di Luigi Oliveto e merita oggi di essere riletto, oppure “Non c’è cor che non batta per te” (2019)  di Augusto Codogno e Gianni Resti, sulla vicenda di alcuni garibaldini di Asciano che, saputo dell’arrivo dell’eroe, vollero andargli incontro proprio a Cetona seguendolo poi nelle avventure successive.

In quella fuga rocambolesca in mezzo all’Italia si strinse, infatti, quel patto tra italiani che ovunque protesse il generale e i suoi dagli inseguitori, spagnoli, francesi, austriaci, che li chiamavano “marmaglia”, “orda di ribelli”, “gentaglia”. Mentre loro, i contadini, gli artigiani, persino i notabili dei paesi che vennero toccati dalla fuga non caddero nel tranello della propaganda, e ospitarono, sfamarono, guidarono il Generale nelle vie di fuga. In Romagna, ancora oggi, si usa l’espressione “trafila garibaldina” per intendere quelle relazioni tra persone per passarsi di nascosto l’eroe in fuga senza mai tradirlo. Così fu. Premessa fondamentale di future battaglie contro eserciti oppressori che il nostro paese conobbe anche nello scorso secolo e che protesse centinaia di partigiani da morte certa. Molti di quelli che lo salvarono misero a rischio le certezze che garantivano loro il mondo immobile. Non lo conoscevano se non per nome ma ebbero fiducia in quell’eroe in camicia rossa. I nemici lo chiamavano “diavolo rosso” ma a San Marino, nel vederlo, una figlia rivolta alla madre non “trattenne la commozione ed esclamò: “mamma, quello non è un assassino. Guarda: ha la faccia del Nazzareno!”. Quell’uomo con il volto del Cristo li avrebbe fatti uscire da un mondo “di vergogna e di servaggio” e finalmente condotti dentro l’alba di un sole nuovo. Il sol dell’avvenire. Lui, a tutti, ripeteva il suo eterno ringraziamento e la promessa che presto sarebbe tornato. “Verranno tempi migliori. Abbiate fede”, “Tra dieci anni l’Italia sarà una e libera”. Gli eroi sono di parola. Così avvenne. Nel 1860 l’Italia unita era fatta. Di tutto questo cosa rimane oggi? Forse una vaga memoria. Ma basta scatizzare sotto la cenere per farla riaffiorare in tutta la sua bellezza. Ottima, dunque, la proposta di un nuovo cammino per le strade di un’Italia antica, orgogliosa e dimenticata per quanti vorranno mettersi in marcia. Non sulle tracce di santi o pellegrini stavolta ma di un eroe vero che seppe dare agli italiani la speranza di un mondo nuovo.
 
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Michele Taddei, giornalista, si occupa di comunicazione pubblica, socio fondatore di Agenziaimpress e Primamedia. Ha pubblicato “Siamo onesti! Bettino Ricasoli. Il barone che volle l’unità d’Italia” (Mauro Pagliai editore, 2010), "Scandalosa Siena" (Edizioni Cantagalli, 2013), "Cuore di Giglio" (De Ferrari editore, 2016), Siena bella addormentata (Primamedia editore, 2018), "Steppa...

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