Il destinatario delle lettere qui pubblicate apparteneva ad una nobile famiglia pistoiese e nel 1691 era stato nominato vescovo di Arezzo da papa Innocenzo XII. Definito dai biografi una “simpatica e umanissima figura”, amava la buona mensa, godeva della conversazione e non disdegnava di fare persino qualche bagno nell’Arno, anche se nella sua funzione pastorale non scendeva a compromessi, visto che impose fra l’altro una maggior disciplina in seminario e ai sacerdoti aretini, “molti di nome ma pochi di fatto”, come ebbe a scrivere lui stesso. Amante però anche delle opere d’arte e più simile ad un principe romano che non ad un presule di provincia, aveva profuso gran parte del suo impegno nel cercar denari per portare a termine il grande palazzo di famiglia in costruzione a Pistoia e per l’allestimento di una collezione di quadri e disegni; per questo gli Aretini, sempre pronti a trovar motivi per prendere in giro i potenti e forse un po’ seccati perché il vescovo non faceva fare certe cose in Arezzo, su questo palazzo cantavano ironicamente in rima, chiamando il presule “Marchettone” a causa della sua statura imponente.
Chi gli scrive per concludere affari con lui è un altro personaggio singolare, il padre filippino di origini milanesi Sebastiano Resta, che appartenne per un cinquantennio alla congregazione di Santa Maria in Vallicella a Roma e che ha legato il suo nome al fenomeno del collezionismo artistico fra Sei e Settecento.
Competente d’arte per pratica e tradizioni familiari, aveva trovato proprio nel commercio artistico la via migliore per raccogliere fondi in favore delle sue opere di carità, divenendo in breve il più noto collezionista e venditore di disegni della seconda metà del Seicento. Era lui stesso d’altra parte un discreto disegnatore ed aveva l’ambizione di comporre con i disegni raccolti, postillati e riuniti in volumi rilegati dal titolo altisonante, come il qui descritto Senato in Gabinetto (adunanza di grandi pittori italiani del Cinquecento e Seicento, cioè i “senatori” della pittura), una vera e propria storia dell’arte italiana, riproponendo gli originali anche in incisioni.
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Il destinatario delle lettere qui pubblicate apparteneva ad una nobile famiglia pistoiese e nel 1691 era stato nominato vescovo di Arezzo da papa Innocenzo XII. Definito dai biografi una “simpatica e umanissima figura”, amava la buona mensa, godeva della conversazione e non disdegnava di fare persino qualche bagno nell’Arno, anche se nella sua funzione pastorale non scendeva a compromessi, visto che impose fra l’altro una maggior disciplina in seminario e ai sacerdoti aretini, “molti di nome ma pochi di fatto”, come ebbe a scrivere lui stesso. Amante però anche delle opere d’arte e più simile ad un principe romano che non ad un presule di provincia, aveva profuso gran parte del suo impegno nel cercar denari per portare a termine il grande palazzo di famiglia in costruzione a Pistoia e per l’allestimento di una collezione di quadri e disegni; per questo gli Aretini, sempre pronti a trovar motivi per prendere in giro i potenti e forse un po’ seccati perché il vescovo non faceva fare certe cose in Arezzo, su questo palazzo cantavano ironicamente in rima, chiamando il presule “Marchettone” a causa della sua statura imponente.
Chi gli scrive per concludere affari con lui è un altro personaggio singolare, il padre filippino di origini milanesi Sebastiano Resta, che appartenne per un cinquantennio alla congregazione di Santa Maria in Vallicella a Roma e che ha legato il suo nome al fenomeno del collezionismo artistico fra Sei e Settecento.
Competente d’arte per pratica e tradizioni familiari, aveva trovato proprio nel commercio artistico la via migliore per raccogliere fondi in favore delle sue opere di carità, divenendo in breve il più noto collezionista e venditore di disegni della seconda metà del Seicento. Era lui stesso d’altra parte un discreto disegnatore ed aveva l’ambizione di comporre con i disegni raccolti, postillati e riuniti in volumi rilegati dal titolo altisonante, come il qui descritto Senato in Gabinetto (adunanza di grandi pittori italiani del Cinquecento e Seicento, cioè i “senatori” della pittura), una vera e propria storia dell’arte italiana, riproponendo gli originali anche in incisioni.
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