10 autori per 10 temi. L’identità toscana attraverso il paesaggio

Lucignano il 28/11/2022 - di Iacopo Maccioni
Nuovo contributo nell’ambito dell’iniziativa di Toscanalibri "10 autori per 10 temi – Come una biblioteca dell'identità toscana", finalizzata a ricavare una ‘summa’ dei segni distintivi della ‘toscanità’, così come, nel tempo, è stata plasmata da molteplici fattori. Abbiamo chiesto a dieci autori di attingere ai nostri scaffali per suggerire alcuni libri riconducibili a dieci temi connotanti le peculiarità della Toscana. Iacopo Maccioni propone oggi alcuni volumi attraverso cui conoscere e approfondire aspetti di quel ‘carattere’ regionale che è andato formandosi attraverso il paesaggio.
 
L’antropologa americana Margaret Mead, vissuta nei primi tre quarti del novecento, ha teorizzato la presenza, nell’uomo delle origini, di un sesto senso, da lei chiamato Compartecipazione mistica uomo-natura. La Mead delinea questa fase come quella dell’Eden: un periodo di completa immersione dell’uomo nello spazio che lo circonda e del quale, al contempo, è parte integrante e integrata. L’uomo riesce a trovare soddisfacimento ai suoi bisogni nell’ambiente e l’ambiente può percepire perfettamente quali questi siano. Un vero e proprio paradiso, quello terrestre appunto. La scomparsa del sesto senso (dovuto al peccato originale per la Mead) ha costretto l’umanità al lavoro: alla coltivazione del suolo e all’allevamento del bestiame per la sopravvivenza, oltre alla semplice raccolta dei frutti spontaneamente presenti. È stato questo l’attimo in cui il nostro progenitore ha iniziato a leggere ciò che gli stava intorno come oggetto da usare per sostenersi e ha cercato con esso, sicuramente tra alterne vicende e mutevoli convinzioni, di convivere, dovendolo trasformare, a volte mutilare, spesso lacerare. Credo si possa far risalire a questa congiuntura, seppure certamente non affiorato alla consapevolezza della coscienza, la prima idea di paesaggio come di uno spazio, dove è fondamentale il rispetto dei principi che aiutano il perpetrarsi del legame profondo dell’uomo con quanto lo circonda. In fondo, a ben vedere, è un bisogno istintivo primario, l’aspirazione a rivivere il momento ideale del rapporto primordiale dato dal senso ormai smarrito. Certo: la facoltà persa mai verrà recuperata, ma l’eco della sua antica presenza rende comunque possibile continuare a bearsi di quello che gli altri sensi possono percepire, cogliere, sentire, sfruttando l’impronta dell’esposizione precedente.
 
Il paesaggio quindi, prima di tutto (prima ancora di essere realtà), poiché assoggettato all’uomo, alla sua volontà, è pensiero. O meglio, il prodotto dell’interazione tra il pensiero dell’uomo, l’esistente e i bisogni da soddisfare: sentieri si volgono a viottole, per diventare percorsi, quindi strade destinate ad avvicinare uomini ad altri uomini; capanne in circolo creano sicurezza e protezione alla prole, difesa dei più fragili, custodia delle risorse, originando villaggi, paesi, città; terreni sempre più vasti vengono conquistati per diventare granai... Così alla vita si aggiunge nuova vita e il paradiso terrestre assume aspetti nuovi, diversi. Luoghi impervi, irraggiungibili e inutilizzabili, si piegano alla volontà e al lavoro dell’uomo che li rende fruibili e produttivi. Acquitrini malsani trovano nelle bonifiche soluzioni salutari, declivi impervi terrazze gestibili...
 
In determinati tempi, in precisi luoghi, sul piacere della risonanza ancestrale, sull’anelito di quella corrispondenza, di quella compartecipazione mistica uomo-natura, altri interessi hanno avuto il sopravvento: i bisogni, anche eccessivamente sopravvalutati, hanno affievolito il desiderio e poi sopraffatto la beatitudine del paradiso. La contaminazione dell’interesse facile attraverso l’aggressione all’ambiente, all’impoverimento di aree prese di mira come congeniali all’arricchimento, ha interessato l’intero territorio nazionale seppur con diversità di potenza grazie a freni normativi stringenti imposti in alcune regioni. In molti luoghi del nostro Paese comunque, lo spazio consente di scorgere numerosissime tracce capaci di stimolare l’eco del senso smarrito. La nostra regione è un esemplare ricco di queste opportunità.
 
Tra tanti di questi paesaggi, quelli che la Toscana può ostentare, infatti, sono indubbiamente tra i più apprezzati al mondo: i cambiamenti, progressivamente introdotti, raccontano l’effetto di una continuità armonica coi profili naturali delle colline, delle montagne, delle coste marine, delle pianure strappate a fatica alla putredine delle antiche alluvioni, prima che i corsi dei fiumi trovassero il loro cammino. Qui le foreste custodiscono i suoni profondi preservati che arrivano a noi dal passato e i profumi, che da sempre hanno avvolto, curato, orientato, svegliato, cullato, olezzano ancora le narici di chi si avvicina ai cerri, ai faggi, ai tigli, agli ornelli, agli abeti, da ultimo anche ai pini, alberi tutti invitati a proteggere con cura la vegetazione del sottobosco. Potevano i manufatti di qui, quindi, non trasformarsi in oggetti di culto capaci di accompagnare l’uomo nella sua vita, cullarlo oltre la morte, e diventare infine simboli della potenza del pensiero da mostrare alle generazioni dei millenni successivi? Poteva l’arte, l’architettura, la letteratura non trovare in questa terra, in questa parte del paradiso, le condizioni migliori per provocare quelle rivoluzioni culturali capaci di influenzare il resto del mondo?
 
I nei ci sono, visibili e nascosti, ma abbastanza delimitati, circoscritti; le storture, volendo, pure facilmente estirpabili per correggere radicalmente gli errori introdotti in epoche in cui sembrava scomparso il riverbero dell’Eden passato. Anche da noi, poi, purtroppo, osserviamo comportamenti che pretendono sottostare ad assurdi, distorti, avvilenti concetti di libertà: il lancio dal finestrino della bottiglia (vetro o plastica non fa differenza), della lattina, del mozzicone di sigaretta, del pacchetto appena finito o della scatola appena svuotata, quando non anche dell’intero sacchetto dell’immondizia; lo stesso si può registrare per la gomma masticata sputata sui lastricati dei borghi, o la carta del gelato abbandonata sulla spiaggia... La strada della rieducazione e reintroduzione di costumi diversi sarà dura e impegnativa, ma è, con la presa in carico di tutti, ottimisticamente ipotizzabile e sostenibile. Anche da noi l’inquinamento luminoso oscura, in aree vaste, la bellezza del cielo notturno, ma spengere (un bel toscanismo linguistico) parte degli interruttori è solo una scelta di convenienza. E nuovi interessi potrebbero pure smuovere vaste attenzioni, agevolando scelte opportune.
 
Penso che a percepire primariamente la portata del grande potenziale del territorio della Toscana e a determinarne una sua trasformazione e un suo sfruttamento armonico siano stati gli uomini e le donne che in questi luoghi hanno scelto di vivere l’esperienza della beatitudine del paradiso, prefigurando in questa terra quello futuro che anelavano raggiungere a conclusione della vita: le organizzazioni monastiche e conventuali, le quali, grazie alla loro ampia disseminazione, all’attrazione delle famiglie ricche e nobili presenti, e, non ultima alla formula benedettina del Prega e lavora, hanno originato una trasformazione razionale, dolce e delicata, delle vastissime terre a loro disposizione, nonostante le prime forme di agricoltura “intensiva” attuate. È questo il momento dei vigneti che hanno mantenuto verdi le colline, degli oliveti che le hanno rese argentee sotto i raggi del sole, colorando terreni impervi e pietrosi; è questo il periodo dello sfruttamento dei boschi assicurando al contempo la propagazione degli arbusti e delle essenze asportate, della creazione nelle aree aperte dei salvadanai di frumento, di un’urbanizzazione delle campagne misurata ai bisogni delle stagioni. Il loro insegnamento, fortunatamente, ha attecchito e ha forgiato, piegato, condizionato scelte e azioni degli uomini dei secoli successivi, consentendo a tutti qui, oggi, di godere nuovamente dell’eco ancestrale attraverso immersioni profonde negli ampi spazi che il territorio conserva, con gli innumerevoli scorci ricchi delle caratteristiche adeguate allo scopo.
 
Tra i numerosissimi libri a disposizione e presenti nel portale di ToscanaLibri, il primo che propongo è il lavoro di Maria Rita Gisotti, “L’invenzione del paesaggio toscano” (Edizioni Polistampa, 2008), dove chiarisce come la peculiarità del nostro ambiente sia da ricavare nell’interazione tra fisicità, morfologia del territorio e le immagini e i pensieri che lo hanno caratterizzato come unico.
 
Il secondo, ma l’ordine è puramente casuale, un testo di Mariella Zoppi e Massimo Gregorini, “Paesaggio in Toscana. Il più umano di questi mondi” (Aska Edizioni, 2012), dove immagini e parole si alternano e si inseguono, gareggiando nel presentare aspetti noti o scorci meno conosciuti di questa terra. Le immagini fotografiche si confondono con le descrizioni di grandi letterati che tra ottocento e novecento hanno vissuto in Toscana o visitato queste terre. Intellettuali nostrani come Pratolini, Campana, Tozzi, Luzi, Bianciardi, Calamandrei e altri si alternano agli stranieri Ruskin, Guy de Mopassant, James, Le Corbusier...
 
Per restare in argomento, certamente da non perdere il lavoro di Luigi Oliveto “Il racconto del vivere” (Primamedia Editore, 2017) in cui emerge la Toscana “fisica e sentimentale” che Carlo Cassola racconta, individuando paesaggi fatti di uomini, donne, cose e microcosmi sociali tra il Volterrano, la Maremma, la Val d’Era, la Val d’Elsa quando non anche, investigando città come Pisa, Firenze, Livorno e Siena, quel mondo che afferma essere “sempre stato il... paradiso perduto da riconquistare”.  
 
A seguire, di Luisa Spagnoli, “Paesaggio, agricoltura, cultura” (Pacini Editore, 2021). Questo testo aiuta a riflettere sulle questioni che si originano ogni qualvolta l’uomo interviene sul suolo introducendo cambiamenti; sulla importanza di una rivitalizzazione della campagna come risposta alla globalizzazione avvilente che propone esclusivamente modelli di vita urbani.
 
Per il rapporto tra il paesaggio naturale e il paesaggio costruito, anche in funzione del dibattito attuale circa il suo impiego futuro, propongo un libro importante, quello di Rita Panattoni: “San Rossore nella storia. Un paesaggio naturale e costruito” (Olschki, 2010).
 
Il paesaggio delle Crete Senesi e della Val d’Orcia è conosciuto in tutto il mondo e in tanti, dall’estero, organizzano un viaggio in Italia solo per percorrere le strade che attraversano il Parco fotografico di Asciano e la Valle dell’Orcia. Qui molte immagini simbolo della Toscana, da Vitaleta ai cipressi di San Quirico o di Monticchiello, qui gli scorci immortalati nei film di Il gladiatore o Il paziente inglese. È il paesaggio amato dal poeta Luzi e da lui definito “...luogo concreto ma aperto a tutti i sogni”. Lorenzo Benocci e Cristiano Pellegrini in “Valore Val d’Orcia” (Primamedia Editore, 2021), ricostruiscono la storia di questa terra, la sua trasformazione e, intervistando esponenti del mondo economico, dell’imprenditoria, giuristi, sociologi, psicologi, fotografi, cercano di rispondere al quesito di come sia stato possibile assurgere, da povera terra rurale solcata dai buoi per strappare un po’ di frumento, a luogo scelto dall’Unesco e classificarsi poi tra i luoghi di successo e di rilevante valore economico e sociale.
 
Per chi ama la lettura dei segni che l’arte ha lasciato (messaggi volontari e messaggi sfuggiti al controllo dell’artista o comunque non intenzionali) ritengo interessante e utile la lettura di Mauro Agnoletti e Maria Adele Signorini, “Il paesaggio nella cavalcata dei Magi” (Pacini Editore, 2011, nella versione bilingue italiano-inglese). Il paesaggio rurale rappresentato dal toscano Benozzo Gozzoli, allievo del Beato Angelico, nella parete est della Cappella dei Magi di Palazzo Medici Riccardi di Firenze è chiaramente un paesaggio di fantasia, ma gli elementi ricomposti altro non sono che l’insieme selezionato dall’artista di quanto lo circondava.
 
Nel catalogo Toscanalibri sono presenti anche numerosissime guide che aiutano chiunque a effettuare visite consapevoli sul territorio toscano.  Tra le tante, e solo a mo’ di esempio, suggerisco l’originale proposta di Marco Lisi “San Gimignano. Una guida per perdersi” (Tarka Edizioni, 2021). Una vera e propria “antiguida” o “controguida” che, invece di indirizzare su percorsi ben delineati per avere sempre presente la bussola e l’orizzonte, si ceda alla tentazione di confondersi con il paesaggio per immergersi spensieratamente nei vicoli e nelle piazze, riacquistando quell’indipendenza nella visione delle cose che i suggerimenti indirizzati non consentono.
 
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Iacopo Maccioni

Iacopo Maccioni, prima insegnante poi dirigente scolastico (oggi emerito), vive a Lucignano. Ama la musica, i viaggi, incontrare persone e le storie. Ha curato negli ultimi nove anni, con l’amico Roberto Nistri, un progetto di scrittura con e per gli alunni di un istituto scolastico e le relative pubblicazioni dei racconti per Edizioni Luì. Ha scritto articoli, in riviste specialistiche... Vai alla scheda autore >

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